Europa: quanti piani B esistono? Intervista a Giovanni Dosi

È l’Europa che abbiamo conosciuto in questi anni, fino ad oggi. Ma esiste un piano B, un piano alternativo all’austerità e ai nuovi muri? In realtà di piani B ce n’è di differenti versioni: alcune autenticamente critiche verso l’esistente, altre che appaiono invece ispirate dalle convenienze del momento, in attesa che passino la verifica dei fatti. Esiste poi anche un piano A, rivisitato: è il piano dei “cinque presidenti”. E’ stato presentato qualche mese fa dalle massime cariche istituzionali europee: il presidente della Commissione, del Parlamento, del Consiglio, dell’Eurogruppo e della Bce. Un piano sostanzialmente fedele all’Europa vista fin qui, accompagnato dal classico menu: più austerità, meno welfare, più flessibilità, meno garanzie.

A Memos ne abbiamo parlato con Giovanni Dosi, economista alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, e Pier Virgilio Dastoli che insegna politiche ed istituzioni dell’Unione europea all’Università Roma-Tre.

Dastoli

«Il piano B è quello di cambiare rotta all’Europa nel senso che indicava anche Altiero Spinelli, cioè un’Europa federale, democratica, solidale. Sono convinto che esistono in Europa aree della società civile, ma anche movimenti politici che sono pronti a lanciarsi in un’azione forte per sostenere questo piano B».

Dosi

«Sono d’accordo sul fatto che esistano diversi piani B e che ci siano falsi piani B. Per esempio: il documento dei “cinque presidenti” è un falso piano B, è un approfondimento dei meccanismi di integrazione europea soprattutto a livello economico. Si tratta essenzialmente di ciò che non vogliamo. Vogliamo, invece, una maggiore integrazione politica con una radicale democratizzazione delle istituzioni europee. E questo è un autentico piano B. C’è un piano B alternativo che chiede il riguadagnare sovranità da parte degli stati nazionali per attuare politiche di domanda, di tipo sociale. Credo che nella sinistra ci siano queste due anime. Personalmente sono abbastanza dubbioso, non ho credenze ferree. La sinistra francese tende a dire, ad esempio: “riguadagniamo sovranità perché solo così si possono fare politiche inclusive”.

L’Europa delle frontiere. Germania e Austria hanno chiesto, nell’ultimo vertice dei ministri dell’interno europei ad Amsterdam, di poter derogare al trattato di Schengen ripristinando i controlli alle frontiere per un periodo di due anni. “C’e’ un rischio molto forte, un rischio di sopravvivenza per l’Europa”, ha detto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Vi chiedo: l’Europa fallisce a causa della fine di Schengen oppure il crack dell’Europa si deve misurare soprattutto con il fallimento delle poltiche di austerità di questi ultimi anni?

Dosi

«Il fatto che si metta in discussione la mobilità degli immigrati è un segno che l’Europa non c’è. A nessuno verrebbe mai in mente negli Stati Uniti di discutere se è il Texas o il Massachussetts a dover accogliere gli immigrati messicani. Se c’è un minimo di unione, di entità collettiva, la stessa questione non si porrebbe. Penso che sia vero che siamo giunti a questo punto perché c’è stata una tendenza alla profonda disgregazione indotta proprio dalle politiche di austerità. Sono politiche che essenzialmente hanno dimostrato che non c’è una “super-nazione” come l’Europa con una politica fiscale unitaria, con scelte di politica economica condivise. Essenzialmente c’è una specie di direttorio non eletto e poi c’è una Grande Germania che dà i compiti a casa al resto degli stati. E ciò – aggiunge l’economista Giovanni Dosi – è assolutamente insostenibile. Abbiamo visto che Renzi protesta: meglio tardi che mai! Ma ciò che non è risolto nella posizione del governo italiano, e anche di quello francese, è la valutazione sull’austerità: fa bene o fa male? Se fa bene, allora è una medicina che bisogna prendere, come sostengono i “Bocconi boys”, i “Chicago boys”. Per loro c’è un problema dal lato dell’offerta che viene risolto tirando la cinghia sui conti e flessibilizzando il mercato del lavoro. Ma la storia ha dimostrato che tale diagnosi è assolutamente sbagliata. Il problema non è l’offerta, ma è principalmente la domanda. L’austerità non solo aumenta le divergenze, ma non fa bene a nessuno. Spesso ricordo, quando partecipo ai dibattiti pubblici, il caso della Finlandia. E’ un paese i cui governi hanno applicato integralmente le ricette dell’austerità e che sono in recessione da tre anni! E’ questo ciò che ha distrutto l’Europa: politiche recessive che hanno bloccato l’economia europea ed hanno aumentato i divari all’interno dell’Unione».

Professor Dastoli, cosa contiene il documento dei “cinque presidenti”, sicuramente non è un piano B?

«La proposta dei “cinque presidenti” – risponde Dastoli – parte dal concetto secondo il quale bisognerebbe cominciare dall’Unione bancaria europea e poi arrivare progressivamente all’Unione economica e – in una prospettiva molto lontana, indeterminata e vaga – all’Unione politica. Questa prospettiva ha sempre fallito. L’unione bancaria è soltanto in parte realizzata, l’unione economica è di là da venire, di unione politica non se ne parla. Sono convinto che se bisogna andare in un’altra strada bisogna muoversi ben oltre il documento dei “cinque presidenti”. Questa proposta è quella di un elite che in maniera conservatrice, immobilista, ha voluto mettersi ancora nella stessa lunghezza di azione di questa Europa che ha fallito».

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