Jobs Act, ecco perché l’inversione di tendenza non pare essere all’orizzonte

Nell’intervento in risposta all’editoriale di Luca Ricolfi, in cui è posta in questione l’efficacia della riforma del mercato del lavoro del governo Renzi, il sottosegretario Tommaso Nannicini e il consigliere del premier Marco Leonardi rivendicano gli effetti positivi del Jobs Act in termini di crescita dell’occupazione e, soprattutto, di una maggiore stabilità dei rapporti di lavoro. Le argomentazioni espresse da questi ultimi, tuttavia, risultano porsi in contraddizione con le evidenze riportate nel nostro recente studio “Did Italy need further labour flexibility? The consequences of the Jobs Act”, in via di pubblicazione su Intereconomics – Review of European Economic Policy.

In particolare, gli elementi di criticità riscontrabili nell’argomentazione di Nannicini e Leonardi possono essere sintetizzati come segue. In primo luogo, l’uso di dati non destagionalizzati conduce a un sovradimensionamento dell’occupazione a tempo indeterminato guadagnata nel 2015: al netto della stagionalità, infatti, i nuovi occupati a tempo indeterminato tra gennaio e dicembre 2015 sono 135.000 – non 214 mila come affermato da Nannicini e Leonardi – di cui 32.000 sono da attribuirsi ai primi due mesi del 2015 quando la sola decontribuzione era in vigore.

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